2025
Visita alla Parrocchia di San Romano: Omelia di San Giovanni Paolo II
Domenica, 22 ottobre 1995.
- “Il nostro aiuto viene dal Signore” (Salmo responsoriale).
Il Salmo responsoriale dell’odierna liturgia è un vero e proprio inno alla Divina Provvidenza. Il Salmista alza gli occhi verso l’alto, fiducioso nell’aiuto che il Creatore del cielo e della terra gli offre nella necessità: Colui che veglia incessantemente su Israele, di giorno come di notte, non permetterà che il piede dell’uomo a lui fedele inciampi. “Il Signore è il tuo custode, / – continua il Salmo – il Signore è come ombra che ti copre, / e sta alla tua destra./ Di giorno non ti colpirà il sole, / né la luna di notte./ Il Signore ti proteggerà da ogni male, / egli proteggerà la tua vita./ Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri, / da ora e per sempre” (Sal 120, 5-8).
- Quest’inno in onore della Divina Provvidenza fa da sfondo a quanto la liturgia di oggi propone alla nostra riflessione sul tema della preghiera e, prima di tutto, sulla preghiera di impetrazione.
Nella prima Lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, ne abbiamo ascoltato una particolare espressione. Durante la lotta contro gli Amaleciti Mosè pregava in cima alla montagna. Quando teneva le mani alzate, prevaleva Israele; quando invece le abbassava per la stanchezza prendeva il sopravvento Amalek. Poiché gli si intorpidivano le braccia, Aronne e Cur, che erano con lui, si diedero da fare per sostenergliele, affinché restassero alzate fino al tramonto del sole. In tal modo, gli Israeliti riuscirono a sconfiggere gli Amaleciti, non tanto per superiorità sul campo di battaglia quanto piuttosto per la potenza della preghiera di Mosè.
Questo racconto del Libro dell’Esodo possiede per noi un indubbio significato paradigmatico. Il Popolo di Dio pellegrinante sulla terra continua la propria battaglia camminando verso la “terra promessa” del Regno di Dio. Il successo di simile lotta, da parte sia della Chiesa che di ogni cristiano, dipende in misura essenziale dalla preghiera. La preghiera è, infatti, l’energia spirituale che permette di sconfiggere i nemici che si oppongono alla nostra salvezza.
- San Luca nel Vangelo ricorda che l’uomo in preghiera, in un certo senso, riportala vittoria su Dio stesso. Ed illustra questo pensiero così audace mediante una parabola.
In una città – egli racconta – c’era un giudice che non temeva né Dio né gli uomini. Vi abitava pure una vedova, che si recava con insistenza da lui chiedendogli: “Fammi giustizia contro il mio avversario” (Lc 18, 3). Quel giudice ingiusto cedette di fronte alla perseveranza della povera vedova. Diceva tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi” (Lc 18, 4-5).
E il Signore conclude: “Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente” (Lc 18, 7-8). È il medesimo contenuto della prima Lettura: Dio attende la nostra preghiera per difenderci contro il male, per aiutarci a superare le contrarietà ed a vincere le lotte della nostra vita.
- Sin qui il brano evangelico procede in un’unica direzione, mostrando l’importanza e l’efficacia della preghiera. Tuttavia Cristo aggiunge alla fine la seguente domanda, che sembra discostarsi dal contesto: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).
In realtà questa domanda sulla fede è, allo stesso tempo, una domanda sulla preghiera. Cristo infatti chiede se al momento della sua seconda venuta troverà la preghiera che scaturisce dalla fede. Domanda che contiene in sé un’esortazione per ogni credente a far sì che l’orazione costituisca una importante verifica della sua fede. La Chiesa intera è chiamata a pregare, perché nella preghiera si manifestano il desiderio e l’attesa del ritorno di Cristo, del ritorno definitivo di Cristo. Allo stesso tempo, la preghiera pone in luce la speranza della vittoria del popolo cristiano nei molteplici combattimenti che accompagnano il pellegrinaggio dell’uomo sulla terra.
- Carissimi Fratelli e Sorelle! È una grande gioia per me oggi celebrare l’Eucaristia in mezzo a voi nella Giornata Missionaria Mondiale. Rivolgo un particolare pensiero al Cardinale Vicario, al Vescovo del Settore, Mons. Enzo Dieci, al Parroco Don Giuseppe Marciante ringraziandolo per le sue parole all’inizio, parole accompagnate da diversi colori che manifestano una parrocchia molto colorata, come pure ai suoi collaboratori nel servizio pastorale della vostra vivace e generosa famiglia parrocchiale.
Saluto, inoltre, i catechisti, gli animatori e gli aderenti ai vari gruppi parrocchiali, impegnati nell’azione spirituale e missionaria, nella formazione dei giovani e nella testimonianza della carità.
So che da tempo desiderate di poter disporre di una Chiesa e di ambienti più adeguati alle esigenze pastorali e sociali di questo quartiere ad alta densità abitativa e con molteplici attività commerciali. Auspico che presto si realizzi questa vostra legittima aspirazione. Vi auguro soprattutto, cari Fratelli e Sorelle, di essere un’autentica comunità ecclesiale, pienamente inserita nel territorio, impegnata nella nuova evangelizzazione, capace di portare ogni persona a contatto con Cristo e di promuovere una rinnovata cultura della riconciliazione e della solidarietà.
Questi sono i miei auguri per la vostra comunità nel giorno anniversario dell’inizio del mio Ministero petrino nella Sede di Roma. Diciassette anni fa: era il 22 ottobre come oggi, era una domenica come oggi, ma era un’altra piazza, Piazza San Pietro. Oggi siamo in una piazza in mezzo a grandi palazzi e così si vede che la Chiesa di Roma, attraverso questi palazzi, non ha solo ampiezza, ma anche altezza, diversi piani. Tutti questi piani presentano le persone, le famiglie, le comunità e la Chiesa di Roma. Saluto la Chiesa di Roma, oggi, nella vostra parrocchia, su questa piazza.
- Cari fedeli di San Romano Martire! Nel programma pastorale di quest’anno avete posto ancor più in risalto la centralità dell’Eucaristia nella vita del credente. Proseguite in questo significativo impegno: tutta la vostra esistenza diventi una continua preghiera, come ci ricorda opportunamente la liturgia di questa domenica.
Nel canto al Vangelo abbiamo ripetuto: “La parola di Dio è viva, efficace e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4, 12). Questa espressione della Lettera agli Ebrei in un certo senso è collegata con la seconda Lettura, presa dalla seconda Lettera di san Paolo a Timoteo. In essa l’Apostolo esorta il suo discepolo ad attingere abbondantemente dalla Sacra Scrittura la sapienza che porta alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo. Il battezzato deve, infatti, costantemente approfondire questa sapienza, se vuole diventare un uomo perfetto, pronto a compiere ogni opera buona (cf. 2 Tm 3, 16). In particolare, deve progredire in questa sapienza divina colui che, come Timoteo, è chiamato ad annunziare la Parola di Cristo ai fratelli. “Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2 Tm 4, 2). Proprio in tal senso la parola di Dio è viva ed efficace, come afferma il Canto al Vangelo.
- Anche questa parte della Liturgia della Parola presenta il tema della preghiera? Sì, ma in un senso diverso rispetto agli altri testi. Essi, infatti, illustrano la preghiera di impetrazione, mentre questi ultimi brani parlano piuttosto della preghiera contemplativa, che consiste nella familiarità con la Parola del Dio vivente, capace di scrutare i sentimenti e i pensieri del cuore (cf. Eb 4, 12). Nell’ambito della preghiera ecco un elemento particolarmente importante: si tratta, infatti, non soltanto di presentare a Dio le necessità ed i desideri d’ogni giorno, ma ancor più di lasciar operare Dio in noi mediante la sua divina Parola.
L’orazione della mente e del cuore è fondamentale per gli Apostoli e per chi è inviato ad istruire e guidare i fratelli nella via della piena partecipazione al Regno di Dio. Per tale motivo san Paolo scrive a Timoteo: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti” (2 Tm 4, 1).
L’Apostolo scongiura il discepolo con una parola radicale, per stimolarlo all’azione apostolica: “Annunzia la parola!” (2 Tm 4, 2). Questa supplica contiene in un certo senso anche un’esortazione: rimani a contatto con la Parola di Dio che è viva e dà la vita! Proprio la comunione nella preghiera ti permetterà di trasmettere fedelmente il messaggio evangelico a quanti ti ascoltano e di edificare così la Chiesa, affrettando l’avvento del Regno di Dio sulla terra.
Ciò è specialmente attuale nella Giornata Missionaria Mondiale. Quella di Paolo è una Lettera missionaria che deve essere letta e meditata in questa domenica. Si deve dire, tornando a Roma, che essa è stata il primo e principale centro delle missioni della Chiesa, in tutta l’Europa, specialmente in quella occidentale, e negli altri Continenti. Si deve mantenere questa missionarietà della Chiesa romana, ed essa si mantiene. Ringrazio tutti coloro che prendono parte alla grande opera missionaria della Chiesa di Roma.
La Chiesa deve costantemente adoperarsi affinché il Figlio dell’uomo, quando ritornerà nella gloria, trovi sulla terra la fede che si esprime nella preghiera: fede viva verso Dio, richiamo ad una carità operosa nei confronti dei fratelli.
Voglio in modo speciale pregare insieme con voi in questa giornata così importante per me. L’Eucaristia è la preghiera più piena. Celebrando l’Eucaristia, partecipando a questa grande preghiera di Cristo, noi ci avviciniamo alla venuta del Signore.
Amen!
© Copyright 1995 – Libreria Editrice Vaticana
2025
Discorso di Papa Leone XIV all’Assemblea della Diocesi di Roma
Carissimi fratelli e sorelle,
è per me una gioia trovarmi con voi nella Cattedrale di Roma: il Papa è tale in quanto Vescovo di Roma, e io sono Vescovo per voi. Ringrazio il Cardinale Vicario per le parole con cui ha introdotto questo incontro, che vivo come un grande abbraccio del Vescovo con il suo popolo. Saluto i membri del Consiglio episcopale, i parroci, tutti i presbiteri, i diaconi, le religiose e i religiosi e tutti voi che siete qui in rappresentanza delle parrocchie. Vi ringrazio per la gioia del vostro discepolato, per il lavoro pastorale, per i pesi che portate e per quelli che sollevate dalle spalle dei tanti che bussano alle porte delle vostre comunità. La parola rivolta da Gesù alla Samaritana, che abbiamo ascoltato dal Vangelo, in questo tempo storico difficile, è ora diretta a noi Chiesa di Roma: «Se tu conoscessi il dono di Dio!» (Gv 4,10). A quella donna affaticata, che giunge presso il pozzo nell’ora più calda della giornata, Gesù rivela che c’è un’acqua viva che disseta per sempre, una sorgente zampillante che non si esaurisce mai: è la vita stessa di Dio donata all’umanità. Questo dono è lo Spirito Santo, che estingue le nostre arsure e irriga le nostre aridità, facendosi luce sul nostro cammino. Anche San Luca, negli Atti degli Apostoli, utilizza la parola “dono” per indicare lo Spirito Santo, lo Spirito creatore capace di rinnovare tutte le cose.
Attraverso il processo sinodale, lo Spirito ha suscitato la speranza di un rinnovamento ecclesiale, in grado di rivitalizzare le comunità, così che crescano nello stile evangelico, nella vicinanza a Dio e nella presenza di servizio e testimonianza nel mondo. Il frutto del cammino sinodale, dopo un lungo periodo di ascolto e di confronto, è stato anzitutto l’impulso a valorizzare ministeri e carismi, attingendo alla vocazione battesimale, mettendo al centro la relazione con Cristo e l’accoglienza dei fratelli, a partire dai più poveri, condividendone le gioie e i dolori, le speranze e le fatiche. In questo modo, viene messo in luce il carattere sacramentale della Chiesa che, come segno dell’amore di Dio per l’umanità, è chiamata a essere canale privilegiato perché l’acqua viva dello Spirito possa giungere a tutti. Ciò richiede l’esemplarità del popolo santo di Dio. Come sappiamo, sacramentalità ed esemplarità sono due concetti-chiave dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II e dell’ermeneutica di Papa Francesco. Ricorderete quanto caro gli fosse il tema patristico del mysterium lunae, cioè della Chiesa vista nel riverbero della luce di Cristo, della relazione a Lui, sole di giustizia e luce delle genti. Papa Francesco, nella Nota di accompagnamento del Documento finale della XVI Assemblea sinodale (24 novembre 2024), scriveva che esso «contiene indicazioni che, alla luce dei suoi orientamenti di fondo, già ora possono essere recepite nelle Chiese locali e nei raggruppamenti di Chiese, tenendo conto dei diversi contesti, di quello che già si è fatto e di quello che resta da fare per apprendere e sviluppare sempre meglio lo stile proprio della Chiesa sinodale missionaria».
Ebbene, ora tocca a noi metterci all’opera affinché la Chiesa che vive a Roma diventi laboratorio di sinodalità, capace – con la grazia di Dio – di realizzare “fatti di Vangelo”, in un contesto ecclesiale dove non mancano le fatiche, specialmente in ordine alla trasmissione della fede, e in una città che ha bisogno di profezia, segnata com’è da numerose e crescenti povertà economiche ed esistenziali, con i giovani spesso disorientati e le famiglie spesso appesantite. Una Chiesa sinodale in missione ha bisogno di abilitarsi a uno stile che valorizzi i doni di ciascuno e che comprenda la funzione di guida come un esercizio pacificante e armonioso, affinché, nella comunione suscitata dallo Spirito, il dialogo e la relazione ci aiutino a vincere le numerose spinte alla contrapposizione o all’isolamento difensivo.
Il dinamismo sinodale va dunque alimentato nei contesti reali di ogni Chiesa locale. Che cosa significa questo concretamente?
Si tratta anzitutto di lavorare per la partecipazione attiva di tutti alla vita della Chiesa. A questo proposito, uno strumento per incrementare la visione di Chiesa sinodale e missionaria è quello degli organismi di partecipazione. Essi aiutano il Popolo di Dio a esercitare pienamente la sua identità battesimale, rafforzano il legame tra i ministri ordinati e la comunità e guidano il processo che va dal discernimento comunitario alle decisioni pastorali. Per questo motivo vi invito a rafforzare la formazione degli organismi di partecipazione e, a livello parrocchiale, a verificare i passi fatti fino ad ora o, laddove tali organismi mancassero, di comprendere quali sono le resistenze, per poterle superarle. Allo stesso modo, vorrei spendere una parola sulle prefetture, sugli altri organismi che connettono ambiti diversi della vita pastorale, così come sugli stessi settori diocesani, pensati per collegare meglio parrocchie vicine in un determinato territorio con il centro della diocesi. Il rischio è che queste realtà perdano la loro funzione di strumenti di comunione e si riducano a qualche riunione, dove si discute insieme di qualche tema per poi tornare, però, a pensare e a vivere la pastorale in modo isolato, nel proprio recinto parrocchiale e nei propri schemi. Oggi, come sappiamo, in un mondo diventato più complesso e in una città che corre a gran velocità e dove le persone vivono una permanente mobilità, abbiamo bisogno di pensare e progettare insieme, uscendo dai confini prestabiliti e sperimentando iniziative pastorali comuni. Perciò, vi esorto a fare di questi organismi dei veri e propri spazi di vita comunitaria dove esercitare la comunione, luoghi di confronto in cui attuare il discernimento comunitario e la corresponsabilità battesimale e pastorale.
E su cosa siamo chiamati a discernere oggi? Quanto si è fatto in questi anni è prezioso, ma vi sono alcuni obiettivi da perseguire con stile sinodale sui quali vorrei soffermarmi. Il primo che vi suggerisco è la cura del rapporto tra iniziazione cristiana ed evangelizzazione, tenendo presente che la richiesta dei Sacramenti sta diventando un’opzione sempre meno praticata. Iniziare alla vita cristiana è un processo che deve integrare l’esistenza nei suoi vari aspetti, abilitare gradualmente alla relazione con il Signore Gesù, rendere le persone confidenti nell’ascolto della Parola, desiderose di vivere la preghiera e di operare nella carità. Occorre sperimentare, se necessario, strumenti e linguaggi nuovi, coinvolgendo nel cammino le famiglie e cercando di superare un’impostazione scolastica della catechesi. In questa prospettiva, occorre curare con delicatezza e attenzione coloro che esprimono il desiderio del Battesimo in età adolescenziale e adulta. Gli uffici del Vicariato a ciò preposti devono lavorare con le parrocchie, avendo particolare cura della formazione continua dei catechisti.
Un secondo obiettivo è il coinvolgimento dei giovani e delle famiglie, su cui oggi incontriamo diverse difficoltà. Mi pare urgente impostare una pastorale solidale, empatica, discreta, non giudicante, che sa accogliere tutti, e proporre percorsi il più possibile personalizzati, adatti alle diverse situazioni di vita dei destinatari. Poiché poi le famiglie faticano a trasmettere la fede e potrebbero essere tentate di sottrarsi a tale compito, dobbiamo cercare di affiancarci senza sostituirci ad esse, facendoci compagni di cammino e offrendo strumenti per la ricerca di Dio. Si tratta – dobbiamo dirlo onestamente – di una pastorale che non ripete le cose di sempre, ma offre un nuovo apprendistato; una pastorale che diventa come una scuola capace di introdurre alla vita cristiana, di accompagnare le fasi della vita, di tessere relazioni umane significative e, così, di incidere anche nel tessuto sociale specialmente a servizio dei più poveri e dei più deboli. Infine – un terzo obiettivo – vorrei raccomandarvi la formazione a tutti i livelli. Viviamo un’emergenza formativa e non dobbiamo illuderci che basti portare avanti qualche attività tradizionale per mantenere vitali le nostre comunità cristiane. Esse devono diventare generative: essere grembo che inizia alla fede e cuore che cerca coloro che l’hanno abbandonata. Nelle parrocchie c’è bisogno di formazione e, laddove non ci fossero, sarebbe importante inserire percorsi biblici e liturgici, senza tralasciare le questioni che intercettano le passioni delle nuove generazioni ma che interessano tutti noi: la giustizia sociale, la pace, il complesso fenomeno migratorio, la cura del creato, il buon esercizio della cittadinanza, il rispetto nella vita di coppia, la sofferenza mentale e le dipendenze, e tante altre sfide. Non possiamo di certo essere specialisti in tutto, ma dobbiamo riflettere su questi temi, magari mettendoci in ascolto delle tante competenze che la nostra città può offrire. Tutto questo, mi raccomando, dev’essere pensato e fatto insieme, in modo sinodale, come popolo di Dio che non smette, con la guida dei pastori, di attendere e sperare che al banchetto preparato dal Signore, secondo la visione del profeta Isaia (cfr 25,6-10), possano, un giorno, sedersi veramente tutti.
Il brano evangelico della Samaritana si chiude con un crescendo missionario: lei va dai suoi concittadini, racconta ciò che le è accaduto ed essi si recano da Gesù e giungono alla professione di fede. Sono certo che anche nella nostra Diocesi il cammino avviato e accompagnato negli ultimi anni ci porterà a maturare nella sinodalità, nella comunione, nella corresponsabilità e nella missione.
Rinnoveremo in noi il gusto di annunciare il Vangelo a ogni uomo e a ogni donna del nostro tempo; correremo verso di loro come la donna samaritana, lasciando la nostra brocca e portando, invece, l’acqua che disseta in eterno. E avremo la gioia di sentire tante sorelle e fratelli che, come i samaritani, ci diranno: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo» (Gv 4,42). La Vergine della fiducia e della speranza, Salus Populi Romani, ci accompagni e custodisca il nostro cammino.
19 settembre 2025
2025
Prima Benedizione “Urbi et Orbi” del Santo Padre Leone XIV
La pace sia con tutti voi!
Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra. La pace sia con voi!
Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente. Ancora conserviamo nei nostri orecchi quella voce debole ma sempre coraggiosa di Papa Francesco che benediva Roma!
Il Papa che benediva Roma dava la sua benedizione al mondo, al mondo intero, quella mattina del giorno di Pasqua. Consentitemi di dar seguito a quella stessa benedizione: Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di Lui come il ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace. Grazie a Papa Francesco!
Voglio ringraziare anche tutti i confratelli cardinali che hanno scelto me per essere Successore di Pietro e camminare insieme a voi, come Chiesa unita cercando sempre la pace, la giustizia, cercando sempre di lavorare come uomini e donne fedeli a Gesù Cristo, senza paura, per proclamare il Vangelo, per essere missionari.
Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano, che ha detto: “con voi sono cristiano e per voi vescovo”. In questo senso possiamo tutti camminare insieme verso quella patria che Dio ci ha preparato.
Alla Chiesa di Roma un saluto speciale! [applausi] Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta a ricevere come questa piazza con le braccia aperte. Tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, la nostra presenza, il dialogo e l’amore.
Y si me permiten también, una palabra, un saludo a todos aquellos y en modo particular a mi querida diócesis de Chiclayo, en el Perú, donde un pueblo fiel ha acompañado a su obispo, ha compartido su fe y ha dado tanto, tanto para seguir siendo Iglesia fiel de Jesucristo.
E se mi permettete una parola, un saluto a tutti e in modo particolare alla mia cara diocesi di Chiclayo, in Perù, dove un popolo fedele ha accompagnato il suo vescovo, ha condiviso la sua fede e ha dato tanto, tanto per continuare ad essere Chiesa fedele di Gesù Cristo.
A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, di Italia, di tutto il mondo vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono.
Oggi è il giorno della Supplica alla Madonna di Pompei. Nostra Madre Maria vuole sempre camminare con noi, stare vicino, aiutarci con la sua intercessione e il suo amore.
Allora vorrei pregare insieme a voi. Preghiamo insieme per questa nuova missione, per tutta la Chiesa, per la pace nel mondo e chiediamo questa grazia speciale a Maria, nostra Madre.
Ave Maria…
2025
Ultimo Messaggio “Urbi et orbi” di Papa Francesco
PASQUA 2025
Piazza San Pietro
Domenica, 20 aprile 2025
Fratelli e sorelle, buona Pasqua!
Oggi nella Chiesa finalmente risuona l’alleluia, riecheggia di bocca in bocca, da cuore a cuore, e il suo canto fa piangere di gioia il popolo di Dio nel mondo intero.
Dal sepolcro vuoto di Gerusalemme giunge fino a noi l’annuncio inaudito: Gesù, il Crocifisso, «non è qui, è risorto» (Lc 24,6). Non è nella tomba, è il vivente!
L’amore ha vinto l’odio. La luce ha vinto le tenebre. La verità ha vinto la menzogna. Il perdono ha vinto la vendetta. Il male non è scomparso dalla nostra storia, rimarrà fino alla fine, ma non ha più il dominio, non ha più potere su chi accoglie la grazia di questo giorno.
Sorelle e fratelli, specialmente voi che siete nel dolore e nell’angoscia, il vostro grido silenzioso è stato ascoltato, le vostre lacrime sono state raccolte, nemmeno una è andata perduta! Nella passione e nella morte di Gesù, Dio ha preso su di sé tutto il male del mondo e con la sua infinita misericordia l’ha sconfitto: ha sradicato l’orgoglio diabolico che avvelena il cuore dell’uomo e semina ovunque violenza e corruzione. L’Agnello di Dio ha vinto! Per questo oggi esclamiamo: «Cristo, mia speranza, è risorto!» (Sequenza pasquale).
Sì, la risurrezione di Gesù è il fondamento della speranza: a partire da questo avvenimento, sperare non è più un’illusione. No. Grazie a Cristo crocifisso e risorto, la speranza non delude! Spes non confundit! (cfr Rm 5,5). E non è una speranza evasiva, ma impegnativa; non è alienante, ma responsabilizzante.
Quanti sperano in Dio pongono le loro fragili mani nella sua mano grande e forte, si lasciano rialzare e si mettono in cammino: insieme con Gesù risorto diventano pellegrini di speranza, testimoni della vittoria dell’Amore, della potenza disarmata della Vita.
Cristo è risorto! In questo annuncio è racchiuso tutto il senso della nostra esistenza, che non è fatta per la morte ma per la vita. La Pasqua è la festa della vita! Dio ci ha creati per la vita e vuole che l’umanità risorga! Ai suoi occhi ogni vita è preziosa! Quella del bambino nel grembo di sua madre, come quella dell’anziano o del malato, considerati in un numero crescente di Paesi come persone da scartare.
Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti!
In questo giorno, vorrei che tornassimo a sperare e ad avere fiducia negli altri, anche in chi non ci è vicino o proviene da terre lontane con usi, modi di vivere, idee, costumi diversi da quelli a noi più familiari, poiché siamo tutti figli di Dio!
Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile! Dal Santo Sepolcro, Chiesa della Risurrezione, dove quest’anno la Pasqua è celebrata nello stesso giorno da cattolici e ortodossi, s’irradi la luce della pace su tutta la Terra Santa e sul mondo intero. Sono vicino alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese. Preoccupa il crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo. In pari tempo, il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria. Faccio appello alle parti belligeranti: cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace!
Preghiamo per le comunità cristiane in Libano e in Siria che, mentre quest’ultimo Paese sperimenta un passaggio delicato della sua storia, ambiscono alla stabilità e alla partecipazione alle sorti delle rispettive Nazioni. Esorto tutta la Chiesa ad accompagnare con l’attenzione e con la preghiera i cristiani dell’amato Medio Oriente.
Un pensiero speciale rivolgo anche al popolo dello Yemen, che sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie “prolungate” del mondo a causa della guerra, e invito tutti a trovare soluzioni attraverso un dialogo costruttivo.
Cristo Risorto effonda il dono pasquale della pace sulla martoriata Ucraina e incoraggi tutti gli attori coinvolti a proseguire gli sforzi volti a raggiungere una pace giusta e duratura.
In questo giorno di festa pensiamo al Caucaso Meridionale e preghiamo affinché si giunga presto alla firma e all’attuazione di un definitivo Accordo di pace tra l’Armenia e l’Azerbaigian, che conduca alla tanto desiderata riconciliazione nella Regione.
La luce della Pasqua ispiri propositi di concordia nei Balcani occidentali e sostenga gli attori politici nell’adoperarsi per evitare l’acuirsi di tensioni e crisi, come pure i partner della Regione nel respingere comportamenti pericolosi e destabilizzanti.
Cristo Risorto, nostra speranza, conceda pace e conforto alle popolazioni africane vittime di violenze e conflitti, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudan e Sud Sudan, e sostenga quanti soffrono a causa delle tensioni nel Sahel, nel Corno d’Africa e nella Regione dei Grandi Laghi, come pure i cristiani che in molti luoghi non possono professare liberamente la loro fede.
Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui.
Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo. La luce della Pasqua ci sprona ad abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche. Ci sprona a prenderci cura gli uni degli altri, ad accrescere la solidarietà reciproca, ad adoperarci per favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana.
In questo tempo non manchi il nostro aiuto al popolo birmano, già tormentato da anni di conflitto armato, che affronta con coraggio e pazienza le conseguenze del devastante terremoto a Sagaing, causa di morte per migliaia di persone e motivo di sofferenza per moltissimi sopravvissuti, tra cui orfani e anziani. Preghiamo per le vittime e per i loro cari e ringraziamo di cuore tutti i generosi volontari che svolgono le attività di soccorso. L’annuncio del cessate-il-fuoco da parte di vari attori nel Paese è un segno di speranza per tutto il Myanmar.
Faccio appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura che chiude, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Sono queste le “armi” della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte!
Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano. Davanti alla crudeltà di conflitti che coinvolgono civili inermi, attaccano scuole e ospedali e operatori umanitari, non possiamo permetterci di dimenticare che non vengono colpiti bersagli, ma persone con un’anima e una dignità.
E in quest’anno giubilare, la Pasqua sia anche l’occasione propizia per liberare i prigionieri di guerra e quelli politici!
Cari fratelli e sorelle,
nella Pasqua del Signore, la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello, ma il Signore ora vive per sempre (cfr Sequenza pasquale) e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte. Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5)!
Buona Pasqua a tutti!
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2025
Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2025
Camminiamo insieme nella speranza
Cari fratelli e sorelle!
Con il segno penitenziale delle ceneri sul capo, iniziamo il pellegrinaggio annuale della santa Quaresima, nella fede e nella speranza. La Chiesa, madre e maestra, ci invita a preparare i nostri cuori e ad aprirci alla grazia di Dio per poter celebrare con grande gioia il trionfo pasquale di Cristo, il Signore, sul peccato e sulla morte, come esclamava San Paolo: «La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1Cor 15,54-55). Infatti Gesù Cristo, morto e risorto, è il centro della nostra fede ed è il garante della nostra speranza nella grande promessa del Padre, già realizzata in Lui, il suo Figlio amato: la vita eterna (cfr Gv 10,28; 17,3)[1].
In questa Quaresima, arricchita dalla grazia dell’Anno Giubilare, desidero offrirvi alcune riflessioni su cosa significa camminare insieme nella speranza, e scoprire gli appelli alla conversione che la misericordia di Dio rivolge a tutti noi, come persone e come comunità.
Prima di tutto, camminare. Il motto del Giubileo “Pellegrini di speranza” fa pensare al lungo viaggio del popolo d’Israele verso la terra promessa, narrato nel libro dell’Esodo: il difficile cammino dalla schiavitù alla libertà, voluto e guidato dal Signore, che ama il suo popolo e sempre gli è fedele. E non possiamo ricordare l’esodo biblico senza pensare a tanti fratelli e sorelle che oggi fuggono da situazioni di miseria e di violenza e vanno in cerca di una vita migliore per sé e i propri cari. Qui sorge un primo richiamo alla conversione, perché siamo tutti pellegrini nella vita, ma ognuno può chiedersi: come mi lascio interpellare da questa condizione? Sono veramente in cammino o piuttosto paralizzato, statico, con la paura e la mancanza di speranza, oppure adagiato nella mia zona di comodità? Cerco percorsi di liberazione dalle situazioni di peccato e di mancanza di dignità? Sarebbe un buon esercizio quaresimale confrontarsi con la realtà concreta di qualche migrante o pellegrino e lasciare che ci coinvolga, in modo da scoprire che cosa Dio ci chiede per essere viaggiatori migliori verso la casa del Padre. Questo è un buon “esame” per il viandante.
In secondo luogo, facciamo questo viaggio insieme. Camminare insieme, essere sinodali, questa è la vocazione della Chiesa[2]. I cristiani sono chiamati a fare strada insieme, mai come viaggiatori solitari. Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire da noi stessi per andare verso Dio e verso i fratelli, e mai a chiuderci in noi stessi[3]. Camminare insieme significa essere tessitori di unità, a partire dalla comune dignità di figli di Dio (cfr Gal 3,26-28); significa procedere fianco a fianco, senza calpestare o sopraffare l’altro, senza covare invidia o ipocrisia, senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o si senta escluso. Andiamo nella stessa direzione, verso la stessa meta, ascoltandoci gli uni gli altri con amore e pazienza.
In questa Quaresima, Dio ci chiede di verificare se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi in cui lavoriamo, nelle comunità parrocchiali o religiose, siamo capaci di camminare con gli altri, di ascoltare, di vincere la tentazione di arroccarci nella nostra autoreferenzialità e di badare soltanto ai nostri bisogni. Chiediamoci davanti al Signore se siamo in grado di lavorare insieme come vescovi, presbiteri, consacrati e laici, al servizio del Regno di Dio; se abbiamo un atteggiamento di accoglienza, con gesti concreti, verso coloro che si avvicinano a noi e a quanti sono lontani; se facciamo sentire le persone parte della comunità o se le teniamo ai margini[4]. Questo è un secondo appello: la conversione alla sinodalità.
In terzo luogo, compiamo questo cammino insieme nella speranza di una promessa. La speranza che non delude (cfr Rm 5,5), messaggio centrale del Giubileo[5], sia per noi l’orizzonte del cammino quaresimale verso la vittoria pasquale. Come ci ha insegnato nell’Enciclica Spe salvi il Papa Benedetto XVI, «l’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: “Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39)»[6]. Gesù, nostro amore e nostra speranza, è risorto[7]e vive e regna glorioso. La morte è stata trasformata in vittoria e qui sta la fede e la grande speranza dei cristiani: nella risurrezione di Cristo!
Ecco la terza chiamata alla conversione: quella della speranza, della fiducia in Dio e nella sua grande promessa, la vita eterna. Dobbiamo chiederci: ho in me la convinzione che Dio perdona i miei peccati? Oppure mi comporto come se potessi salvarmi da solo? Aspiro alla salvezza e invoco l’aiuto di Dio per accoglierla? Vivo concretamente la speranza che mi aiuta a leggere gli eventi della storia e mi spinge all’impegno per la giustizia, alla fraternità, alla cura della casa comune, facendo in modo che nessuno sia lasciato indietro?
Sorelle e fratelli, grazie all’amore di Dio in Gesù Cristo, siamo custoditi nella speranza che non delude (cfrRm5,5). La speranza è “l’ancora dell’anima”, sicura e salda[8]. In essa la Chiesa prega affinché «tutti gli uomini siano salvati» (1Tm2,4) e attende di essere nella gloria del cielo unita a Cristo, suo sposo. Così si esprimeva Santa Teresa di Gesù: «Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l’ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve» (Esclamazioni dell’anima a Dio, 15, 3)[9].
La Vergine Maria, Madre della Speranza, interceda per noi e ci accompagni nel cammino quaresimale.
Roma, San Giovanni in Laterano, 6 febbraio 2025, memoria dei Santi Paolo Miki e compagni, martiri.
FRANCESCO
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[1] Cfr Lett. enc. Dilexit nos (24 ottobre 2024), 220.
[2] Cfr Omelia nella Messa per la canonizzazione dei Beati Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti, 9 ottobre 2022.
[3] Cfr ibid.
[4] Cfr ibid.
[5] Cfr Bolla Spes non confundit, 1.
[6] Lett. enc. Spe salvi (30 novembre 2007), 26.
[7] Cfr Sequenza della Domenica di Pasqua.
[8] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1820.
[9] Ivi, 1821.
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